Questo non è un post, è scritto per me, per Mia. // per favore non proseguire nella lettura //
Ho ancora 2 nonne, più della maggior parte dei miei amici.
La nonna Sunta ha da anni l’Alzheimer e non riconosce più nessuno, tranne Maria, che è la sua badante ucraina, alla quale vuol bene come ad una figlia. Mamma dice che quando la nonna sente la voce di Maria le brillano gli occhi; e che riconosce la sua casa, perchè lì sta bene.
La nonna si è ammalata quando ancora c’era il nonno; non le hanno detto che è morto, l’hanno lasciata tranquilla – anche se lei è rimasta un po’ smarrita, senza saperti dire il perchè.
Non vado mai a trovarla perchè la cosa che più mi fa paura al mondo è perdere la memoria.
E’ buffo come si pensi alle nonne come se fossero sempre state nonne. La nonna Sunta era una bella ragazza di Bassano del Grappa che lavorava in un’oreficeria; aveva iniziato a lavorare presto perchè le era morta la mamma e le dispiaceva di non aver studiato. Aveva scelto il nonno anche se era un anno minore di lei ed era povero, poi l’aveva seguito in Brianza, quando avevano già due figli. La terza, mia madre, è nata a Cesano Maderno.
Mi ricordo un appartamento al mare e la cucina dove lei preparava la pasta al pomodoro per tutti. Faceva, lavorando a maglia, un sacco di regali: un maglione per ogni nipote per Natale, con colori sempre diversi (li nascondeva nell’armadio a specchiera che aveva in camera). Era religiosissima. Raccontava storie e ricordo che la ascoltavo volentieri, insieme alle cugine. C’era un ciliegio dietro casa, grande – salivamo sul tetto del garage per raccogliere le ciliegie -, e si faceva la salsa con gli inquilini sotto casa, siciliani (!).
Della sua malattia, così diffusa ormai, so poco; a volte hai l’impressione che viva su un suo mondo canticchiando nenie senza senso – altre che stia pensando qualcosa che non riesce a dire. Sono convinta che stia bene, perchè è a casa sua e perchè Maria le vuole bene e la cura.
L’altra nonna si chiama Vittorina, perchè è nata il 4 Novembre. E’ la nonna di cui parlo sempre, facendone una macchietta (e la cosa la diverte assai): la nonna che si arrabbia perchè non mi sposo e che a distanza di anni ancora mi rimprovera di non aver sposato un certo buon partito dei tempi dell’università.
E’ la nonna che voleva per me un marito (nell’ordine): cattolico, di buona famiglia, con robuste possibilità economiche (che lei sapeva quantificare all’istante, quasi sfogliasse un estratto conto).
Se non si interessava ad un pretendente, capivi subito che uno dei requisiti indispensabili mancava.
Oggi sono andata a trovarla, un po’ per caso.
Adesso è malata, ha un cancro che le hanno diagnosticato nel 2010 e sta facendo la terapia del dolore.
La nonna abita con lo zio Giuliano, nella casa di famiglia che io chiamo il Mausoleo, perchè è enorme, un po’ squadrata, e pressochè disabitata; davanti alla casa dei miei, accanto alla casa di una delle sue sorelle (e poche vie più in là vive l’altra sorella). Con la zia Piera e la zia Dora gioca tutte le domeniche (e a volte il giovedì) a carte / e quando giocano sono così assorte e impegnate che quasi non ti salutano.
Fino al 2006 viveva la quarta sorella, “la Monaca”, la zia Suora. Insieme le 4 sorelle erano quasi inquietanti: stesse gambe, quelle dei “Colombo” / ereditate da me (orride) /, compatte, forti, davano l’impressione di poter sopravvivere a tutto (difatti le 3 sposate hanno seppellito i mariti, ma sono andate avanti affiancate come panzer, senza segno apparente di debolezza o cedimento).
La nonna andava in bicicletta (non ha mai imparato a guidare), la trovavi sempre in giardino o a sistemare la monumentale casa pressochè disabitata, mangiava a quattro palmenti (anche schifezze), era brianzolmente tichia, berlusconiana, milanista, indistruttibile.
Negli ultimi anni è cambiata poco a poco, fino a peggiorare tanto ora che è malata.
Oggi era così fragile che piangevo e non sapevo cosa dire – lei che scherza sempre baruffando con papà che la stuzzica, oggi era a casa con un piatto di minestra che non aveva voglia di mangiare, su una sedia a rotelle che si è inventato lo zio per accompagnarla in bagno senza farla stancare.
Cercavo di parlare e di non piangere e invece piangevo per la mia nonna, che è diventata una vecchina fragile e per lo zio che è così magro e che le mette le rotelle alla sedia di casa, per far tutto da solo.
D’un tratto sono tornata in India con i bambini e con gli anziani di Madre Teresa, con nel naso l’odore delle strade di Calcutta e avrei voluto piangere ancora di più. Ieri parlando con Sara e con Giulia, mentre farcivamo brioche con il sesamo per la festa della sera, discutevamo di come venga percepita in modo negativo la morte in occidente, a differenza della cultura indiana e orientale, per le quali la morte è semplicemente parte della vita.
Io non lo so. A volte vivi senza sentire, perchè tutto quanto ti circonda è fonte di distrazione o di emozioni che increspano la superficie dell’anima, senza toccarti nel profondo. Allora sei preoccupato o contento, o più semplicemente indaffarato. Altre volte un dettaglio infrange lo specchio e l’anima viene travolta dal maremoto – e la vita ti scolpisce dentro immagini o parole che non è possibile dimenticare.
Una è quella della nonna che si appoggia allo zio in bagno.
Mi commuove quanto questa nonna sia amata – perchè nonostante sia stata poco espansiva, poco dolce, tutti si sono stretti intorno a lei.
Mi commuove il mio papà che fa finta di litigare con lei. Mi commuove lo zio che ha scelto di starle vicino e per cui la nonna è davvero la famiglia – lo zio con la sedia a rotelle inventata sotto una sedia da cucina, con il cartello delle medicine scritto con il lapis della bottega, con le serate passate accanto a una persona con la vita che si sfilaccia e corre via come granelli di sabbia in una mano.
Parlavo con la mamma e mi è tornata in mente una sera terribile d’inverno, quando il papà di Marco era malato. Mi sono tornati in mente gli Hospice, quelle mostruosità necessarie che non assomigliano neanche un po’ (non lo so il perchè, ma è così) alle torri di Varanasi.
La nonna almeno è a casa sua.