Sono in aeroporto, a Gatwitch, che si raggiunge da Victoria Station con un treno diretto, in 30 minuti.
Volevo scrivere di questi 4 giorni londinesi, di quanto mi è piaciuto rivedere Londra.
Di questo viaggio ricorderò con immenso piacere la compagnia di Didi Feurle. Non posso immaginare un compagno di avventura migliore. Didi è arrivato il mercoledì, mi ha scritto giovedì dall’ostello, così ci siamo accordati per trovarci venerdì mattina alle 10 a Victoria Station. Sono arrivata 15 minuti in anticipo ed era già lì, un bel ragazzo svizzero con gli occhi azzurri.
Tutto era organizzato così bene dal tour operator attraverso il quale abbiamo (ha: io ho solo fatto un bonifico) trovato i pettorali: l’hotel Strand Palace era a Embarkment, la zona che preferisco. Siamo stati a passeggiare per la città, entrando nei negozi alla ricerca del cane della regina o di Sound on Sound per Alessandro. Abbiamo incontrato Franco e Simona all’Excel, ritirato i pettorali, bevuto un the, trovato ristoranti carinissimi. Simona ha poi corso in 3h29’, una gara perfetta; mi ha insegnato che la maratona si corre da soli.
Abbiamo passato il sabato con un’unica missione: mangiare di tutto e di più, dalla colazione al sushi, al tortino di male, dalla pasta per merenda al pub con Nunzia.
Nunzia ha portato l’aria di casa, dissipando le mie paure; con lei abbiamo passato una serata tra risate e chiacchiere in un pub di mattoni che sembrava incredibilmente antico, circondato da palazzi di vetro.
Nunzia era tra la folla di supporter ad Embarkment, nei km più duri della gara, quando già sognavo il St. James Park, un po’ incredula di avercela quasi fatta.
Ci siamo viste anche domenica sera, in un altro pub a Covent Garden.
Della domenica della gara ricordo tanto e niente. La notte, passata a sognare che avrei corso con Marco, con la paura di non sentire la sveglia tanto ero stanca il giorno prima. Poi il bus verso Greenwich, con un gruppo di svizzeri e una ragazza brasiliana bellissima. 2 ore prima della partenza passati all’ingresso di uno dei tendoni, sotto al sole, in un prato enorme, bevendo caffè e chiacchierando con Simona Guerra, incontrata subito in mezzo a una folla incredibile (!). Ricordo la fila per andare in bagno, la partenza delle Elite women, le chiacchiere con la gente, tutta emozionata.
Dell’atmosfera della gara ho già scritto, è davvero unica: sia per chi corre, sia per chi resta ore a tifare a bordo della strada: Nunzia mi ha raccontato quanto è stato difficile conquistare una posizione in prima fila.
Ho corso senza nulla: senza telefono, senza soldi, senza zainetto, senza marsupio, senza portare con me cibo; a volte mi stupivo di essere così leggera, così libera. Ho corso pensando a tutto e a niente: con il Niagarino sempre presente, con il cielo azzurro e un vento raramente contrario, con il bip-bip che a volte si confondeva con quello di qualcun altro, e a cui mi attaccavo come ad una legge incisa nella pietra. In alcuni tratti, ho corso perché mi piace correre. In altri perché era bello fare parte di una folla accumulatasi lì certo non per caso. A volte, perché avevo deciso di iniziare e non potevo fermarmi.
Di questa corsa, soprattutto, voglio ricordare la gentilezza delle persone.
Oggi sono stata da Bic, in Echo, che occupa ora un ufficio su due piani in Oxford Street; c’è una porta scura lungo la strada, sempre aperta, senza campanello. Si salgono delle scale con la moquette grigia e si arriva in un ufficio che sa di giovani, con biciclette appese, tavoli molto vicini e un sacco di Mac. Una sala riunioni con le sedie bianche.
Poi nell’ufficio di Bic, che in reatlà è piccolo, ma isolato. Con le foto dei suoi bambini e una di sua moglie (da venerdì scorso è anche sposato con Amy). Rivederlo è stato un piacere grande: non è cambiato: parla del suo lavoro e di Echo con un entusiasmo che non conosce barriere.
Mi ha insegnato tante cose: Madness, Magic, Meaning, per esempio.