A volte siamo consapevoli, la trama delle conseguenze di un gesto si dipana davanti a noi. E non sappiamo fermarci.
Sto dicendo che scegliamo? O è piuttosto un abbandonarsi senza lottare?
Oggi parlavo con un ex che mi è caro. Lo chiamo sempre io e sempre ci promettiamo di vederci per un pranzo (di cui poi ci scordiamo fino alla telefonata successiva).
Lui si è accorto dopo 6 mesi di pausa essere innamorato dell’ultima fiamma; sicchè glielo ha detto e ora sono tornati insieme.
Gli raccontavo dei miei dubbi: di quell’essere sul crinale, vedere due (o duemila) strade possibili e non saper scegliere quella giusta. Continuare una storia o cantarne una diversa, solitaria? Fare parte di un coro così esile (ma così presente) o camminare da sola?
Forse una strada giusta non c’è.
Sdraiato sul mio divano rosso, un Sospeso spiegava il suo individualismo: in lui tutto inizia e finisce, io pure (che forse appunto non esisto). Non importano le storie: ogni cosa è destinata a perdersi nell’avvento dei secoli, materiale o immateriale.
Io pensavo al senso di tutto questo: niente di quanto mi circonda, di quanto amo sopravviverà? Di più: quello che stiamo costruendo sopravviverà? Da un lato tutto sembra così effimero.
Quanto tempo abbiamo? Che sarà di noi quando nessuno più vivrà per raccontare la nostra storia? Ma forse nessuno vivrà dopo di noi, perchè l’individuo è il centro del mondo.
Eravamo a Les Deux Magots e parlavamo della gente intorno a noi, della luce di quella sera / là dove Sarte e Simone de Beauvoir entravano nella storia per questo interrogarsi sull’individuo e sulla vita.
Chissà, forse lungo il cammino // nel silenzio dell’anima // capirò quello che sento. E saprò cosa rispondere.