Come si raccontano 800Km a piedi, da Roncesvalles a Santiago?
In 25 giorni ho attraversato la Spagna, percorrendo il Cammino: Navarra, Rioja, Castilla y Leon, Galizia – lungo una linea invisibile incisa nei secoli, confine spirituale tra due mondi.
Verso la tomba dell’Apostolo Giacomo Maggiore, rinvenuta da un pastore su una collina, divenuta baluardo, identità d’Europa – dove ora sorge la bellissima cattedrale di Santiago.
Un fiume di anime attratte da una visione, come metallo da un magnete: questo è il Cammino.
Una tensione, una migrazione ad occidente, verso il quale si procede a velocità diverse, ma inesorabilmente.
Ogni incontro era un chiedersi: e tu perchè sei qui?
Io raccontavo dello scorso inverno, di quando ero così triste e arrabbiata e delusa, e della notte in cui per caso ho conosciuto Franco e Massimo, e chissà perchè si è parlato del Cammino.
Pochi giorni dopo, il racconto di JoePalla, e al Volo del mattino l’entusiasmo di un ragazzo che stava per partire: già tutto intorno a me comparivano frecce gialle.
Ho capito che era un segno e sapevo che sarei partita: alle chiamate della vita, ho sempre risposto SI.
Così tutto è stato come doveva essere, e come meglio non avrebbe potuto essere disegnato.
Nel salutarmi all’aeroporto di Santiago, Miguel mi ha detto: ‘non è stato ciò che volevo, ma ciò di cui avevo bisogno’.
The Journal / MY WAY to Santiago
Dall’aeroporto di Zaragoza alla stazione dei bus, e poi da Pamplona a Roncesvalles sul taxi di Diego: la Messa era già cominciata, ma sono arrivata in tempo per la benedizione dei pellegrini, di cui mi aveva parlato Massimo durante una cena alla Scaletta.
D’improvviso il racconto è diventata realtà, in un gioco di luci e preghiere pronunciate in tante lingue.
Quella notte ha piovuto, ma il 27/07 (il compleanno di Betty) il cielo era bellissimo, l’alba una delle più chiare della mia vita. La camminata nel bosco felicità pura, come quando sai di essere nel posto giusto al momento giusto e la tua anima è whole e tutt’uno con quella del mondo.
Io tutta un sorriso.
Davanti ad una chiesa ho incontrato Cristina e Lorenzo, di Loreto: lei mi ha detto che porto il nome della sorella del suo padre spirituale, io gliene ho spiegato il significato. Cristina e Lorenzo sono stati la mia forza: le Marche sono tornate da me e mi hanno spinto lungo tutto il Cammino, arrivando sempre nei momenti difficili.
Ho camminato con Fabrizio di Veduggio, mio primo compagno di viaggio, e mi sono fermata a Larassoana con le spalle a pezzi nonostante soli 5kg di zaino pesato sulla bilancia del panettiere davanti a casa.
Quella sera io e Fabrizio ci siamo ritrovati a cenare accanto a Cristina, Lorenzo, Massimo, Elena – e con loro bussavamo alla porta di una signora che ci aveva promesso il caffè alle 6 della mattina dopo.
Il 28/07 a Zabaldika ho incrociato lo sguardo di un ragazzo che camminava più velocemente di noi, e l’ho rivisto nella chiesa di Santo Stefano, dove c’è la campana più vecchia della Navarra.
Abbiamo camminato insieme fino a Pamplona, pranzato insieme / al ristorante Irunazarra, dove davanti ad un piatto di costillas abbiamo imparato a dire alla cuoca: maite zaitut /, e poi gettato gli zaini a terra per lanciarci in una corsa folle lungo il percorso dell’encierro, sotto lo sguardo stupito dei turisti.
/ So crazy, so happy. Unforgettable. /
Miguel / americano di Madrid, come lo chiama Cristina / è stato il miglior compagno di viaggio che potessi desiderare: così era scritto e noi due che eravamo partiti per viaggiare da soli siamo diventati inseparabili. Stesso passo, stessa attrezzatura, stessa fame, stessa voglia di avere gente intorno. Stessa pazzia. Non ne abbiamo mai parlato, ma fin dal primo giorno sapevamo che avremmo finito il Cammino insieme.
A Cizur Menor ci siamo separati / lui aveva gli occhi di un Buddha, io la paura di essere richiamata in Italia dai doveri di famiglia / così ho salito da sola l’Alto del Perdòn, e sono arrivata fino a Uterga, dove un uomo piangeva cenando da solo, io gli ho sorriso e abbiamo finito per parlare tutta la sera.
Il 29/07 poco prima di Puente de la Reina ho incontrato Andrea, un ragazzo di Belluno, che aveva solo sfiorato il Cammino: siamo restati a parlare per ore lungo la strada.
Io aspettavo (wait and hope, è la conclusione del Conte di Montecristo).
E’ arrivato quando avevo già incontrato quello che nei nostri ricordi è il Profeta, un ragazzo inglese di nome Josh, che non ha mangiato delle tapas squisite con noi, perchè la moglie è morta di cancro e da allora è vegano.
Il suo “I AM NOW” è diventato un mantra.
Era giorno di festa, e sono arrivati anche Cristina e Lorenzo. Poco più avanti abbiamo incontrato Caroline, una ragazza francese di 20 anni, che era partita da casa e aveva già fatto oltre 1000 km.
Abbiamo dormito a Lorca, in un albergue evocato chissà come e che forse non è mai esistito.
Il 30/07 la mattina abbiamo fatto colazione con Cristina e Lorenzo, e conosciuto Antonio e Roberta di Milano. Tappa bellissima: Estella e poi Los Arcos, dove siamo arrivati all’ora dell’aperitivo, abbiamo dormito nella Casa de la Abuela, siamo stati alla Messa dei pellegrini, abbiamo incotrato un prete di Trieste e Goio e Maria Cruz.
Il 31/07 l’alba era bellissima, uscire da Los Arcos un incanto. Ricordo Viana, la chiesa all’ingresso della quale è sepolto il Valentino, e una coppia con due bambini bellissimi che ci ha fatto sedere al proprio tavolo.
Il caldo, le mie prime vesciche, e un pranzo tardivo a Logrono, che chissà perchè non mi piaceva. Testarda, ho insistito per proseguire fino a Navarrete (42km!), e alla sera, arrivati in albergue, ho avuto solo la forza di dire ‘cana’ (e di cucinare visto che era tardi e tutto era chiuso).
Il 1/08, non ho voluto fermarmi a Nàjera, di cui ricordo il fiume, il cameriere del ristorante affacciato sul monastero, i nidi di cicogne, una litigata con Miguel che voleva restare. Ciabattando per 5km nella calura, siamo arrivati ad Azofra, dove l’albergue municipal aveva fama di avere una piscina per i piedi.
Lì ho incontrato Xavier, che avrei rivisto quelche giorno più tardi, molto caballeroso / mi regalò una rosa chiedendo il permesso a chi mi accompagnava.
La fontana era un sollievo, il bucato steso al sole e subito asciutto anche. Abbiamo cenato con Goio e Maria Cruz, che avevano appena festeggiato 30 anni di matrimonio: coppia bellissima, lui divertente, lei che rideva tutta.
Goio mi ha insegnato come curare le vesciche e da allora non mi sono più preoccupata: bastavano una garza, il betadene e il nastro adesivo che si comprava in farmacia.
Insieme abbiamo riso tanto.
Il 2/08, dopo S. Domingo de la Calzada, passando per Granon abbiamo conosciuto Ernesto. E Smile.
Magia pura. Catturati da un cagnetto nero, sedotti da un ragazzo giapponese bello come un elfo, stregati dal magnetismo di Ernesto, non potevamo che fermarci a La casa de las sonrisas. Misha diceva che la casa era popolata di angeli, Ernesto ci disse poi che sapeva che ci saremmo fermati.
La verità è che non potevamo fare altrimenti: da quel luogo si sprigionava una luce che ammaliava quelli come noi. A Granon ho passato alcuni dei momenti più belli del Camino, chiacchierando in cucina con Misha che danzava spadellando, ascoltando l’opera durante il pranzo, sonnecchiando in una camera dipinta con le ceneri di un morto / il padre di un ragazzo irlandese che ‘avebbe voluto fermarsi qui’ /, osservando la grazia che chissà come avvolgeva ogni persona che gravitava intorno ad Ernesto: erano tutti belli, erano tutti sereni. La sua donna aveva il viso di una madonna, Misha era bellissimo, Clara di Madrid che stava con lui pure, Jessica insegnava la terapia del sorriso.
A Granon abbiamo rivisto Cristina e Lorenzo; è stato Miguel a incontrarli e a venirmi a chiamare. Indimenticabile l’abbraccio con Cristina, che già aveva i piedi pieni di vesciche, ma brillava per la fede e il coraggio.
Ho amato Granon. Come M A C O N D O.
Il 3/08 ci siamo svegliati alle 6, e c’era una mongolfiera al’orizzonte. Siamo partiti dopo una colazione con la musica, sentendoci parte della leggenda di Ernesto.
Granon è l’ultimo paese della Navarra: iniziava la Rioja, con i suoi vigneti – e la corsa verso Burgos, la città dove è sepolto il Cid.
Siamo arrivati tardi a San Juan de Ortega dopo troppi km, un cattivo pranzo e una siesta sotto gli alberi. Avevo voglia di camminare da sola, di ombra, di silenzio.
Nel monastero le camerate erano spartane e i bagni ormai sporchi, il chiosto pieno di panni stesi ad asciugare.
Abbiamo rivisto Antonio, Roberta e conosciuto Matteo di Crespi d’Adda, con cui mi è molto piaciuto parlare.
L’arrivo a Burgos
Il 4/08 siamo arrivati a Burgos dopo una bella colazione a Atapuerca, dopo aver perso la strada e aver allungato in modo da evitare il più possibile l’autostrada.
Burgos entrerà nella storia dei rapporti diplomatici tra Italia e US per una baruffa e un sacco di insulti.
Nasce a Burgos la leggendaria battuta: ‘How do you get an Italian woman naked? Easy: you wash all her clothes”, perchè mentre facevo la doccia, Miguel ha portato tutto ciò che trovava a lavare, lasciandomi senza nulla (neanche le mutande, ovviamente).
Dopo una valanga di insulti in italiano, è corso a recuperare il bucato dicendomi… Don’t go anywhere!
In realtà ero molto stanca e molto giù, con una vescica rossa e la paura che fosse infetta. Ma mi ha scritto Cristina, che stava arrivando – e io che non speravo di vederli ero così felice!
Siamo usciti insieme la sera, e siamo stati benissimo: ricordo un piatto con i gamberi, il jamon iberico de bellota, e un piatto con funghi e formaggi, la sangria e tanta allegria marchigiana.
Il 5/08 eravamo ormai un quartetto: era domenica e siamo andati a Messa nella cattedrale, poi a vedere la tomba del Cid, poi a colazione (che era sempre con spremuta d’arancia).
Iniziavano le mesetas, ma – grazie a Dio – era nuvoloso e piovigginava a tratti.
Mangiando un bocadillo ho visto gli ultimi 4km della maratona femminile – che emozione riconoscere l’ultima parte del percorso!
La sera siamo arrivati ad Hornillos del Camino, dove non c’era più posto; abbiamo dormito in una palestra di pelota, e reincontrato anche Fabio, un ragazzo di Amalfi che faceva un sacco di km al giorno.
Il cagnolino della foto ha dormito con noi a Hornillos, insieme al suo padrone, che aveva iniziato il cammino a Burgos. Era un ragazzo molto a modo, e il cane era innamorato di lui.
Pensavo sempre a Iran. Sempre a Niagara, che venivano con me tramutati in spilla.
Il 6/08 un altro incontro: dovevo andare all’ermita di San Nicolàs, come promesso a Teresina, che è un rifigio fantastico gestito dalla Confraternita italiana di San Jacopo.
Restaurato in modo conservativo, è una ex chiesa con un tavolo lunghissimo in cui si cena tutti insieme, l’abside in cui si pratica il rituale della lavanda dei piedi e 8 posti a dormire in letti a castello.
Nella chiesa non c’è elettricità; quando fa buio si cena e si chiacchiera a lume di candela.
All’ermita abbiamo trascorso dei momenti magici: l’incontro con Enza e la sua famiglia (4 figli stupendi), la medicazione dei piedi di Cristina, il tramonto così tranquillo… la preparazione della cena per tutti, e poi le canzoni con la luce delle candele che si rifletteva sul soffitto antico.
Sulla porta era scritto: ‘Il pellegrino è colui che cerca senza aver paura di trovare. Anche se trovare è cambiare, è un po’ morire’.
Il 7/08, camminando attraverso il nulla, siamo arrivati prima a Villalcazar de Sirga, dove abbiamo visitato una chiesa dei templari, e poi – stremati – a Carrion de los Condes che mi è molto piaciuta. Alloggiavamo in un albergue gestito dalle monache, e lì abbiamo ritrovato tanta gente.
Carrion è un al confine con un tratto di meseta di 18km, e ha un po’ la funzione di ricompattare le truppe. Lì ho fatto spese (al supermercato e in farmacia!), passeggiato e bevuto una birra da sola, raggiungendo poi gli altri in chiesa per la benedizione, che è stata bellissima.
Scrivevo: ‘Io non so come sono. A volte sono così stanca che conta solo ciò che è utile alla mia sopravvivenza. Sotto il sole a picco, affiora una stanchezza che viene dai giorni pregressi, e che non fai in tempo a cancellare con il sonno.
Mi capisco poco. A volte vorrei viaggiare sola, rimanere ore e ore sola coi miei pensiere. Accetto questo viaggio per come si costruisce intorno a me, combinando incontri, scombinando progetti. Penso che ci sia un po’ di magia che trascorre lungo questo Cammino. Forse sono suggestioni, forse i sogni di tante anime, o le ombre delle vite degli altri.’
Siamo partiti prima dell’alba al suono della musica di Ennio Morricone (Lorenzo aveva con sè tutta la summa di tutta la musica del mondo): marciavamo appaiati e siamo arrivati a Calzadilla sani e salvi. Il giorno 8/08 ci siamo fermati a Moratinos, in un rifugio gestito da italiani, dove tutta Little Italy (come ci chiamava Miguel) si era asserragliata.
Siamo arrivati presto ed è stato bello restare lì a riposare, a chiacchierare e a massaggiare i piedi. Michael, il ragazzo che co-gestiva il rifugio, è il critico letterario de La Repubblica, così ci siamo scambiati qualche titolo. Abbiamo dormito malissimo, per via del caldo e dei cadaveri di cimici.
Dormivo dirimpetto a Riccardo, un ragazzo di Verona che mi è molto piaciuto; camminava con il bastone che gli aveva lasciato un’amica spagnola fermatasi a Burgos.
Da lì abbiamo proseguito, sempre attraverso le distese del nulla, fino a Shagun (never stop in the first bar), e poi – in una giornata difficile per Cristina e Lorenzo – fino a El Burgo Ranero.
Siamo arrivati nel tardo pomeriggio del 9/08, io stanchissima, sporca, con in mente solo la lavatrice. Nell’albergue, accanto alla mia finestra stazionava una mantide.
Siamo usciti a bere una cana in ogni bar: a cena ero praticamente ubriaca, ed ero tornata serena. Ci aspettava un’altra camminata nel nulla, e poi Leòn e l’ultima parte del Camino.
La mattina del 10/08 – San Lorenzo! – siamo partiti prestissimo per evitare il caldo. Era ancora buio, il cielo trapunto di stelle. Leòn distava 37km. Sapevamo che Cristina e Lorenzo si sarebbero fermati, ma io dovevo arrivare là, e poi marciare a passo sostenuto verso Santiago.
Ci siamo salutati a Mansilla, e poi di nuovo ad Arcahueja, dove ho ballato sulle note di una canzone di secoli fa.
A Leòn ci ha accolto un volontario, che ci ha accompagnati fino in centro.
Siamo usciti subito, solo il tempo di una doccia: io per vedere la cattedrale (che però era chiusa) e mangiare uno yogurt, Miguel per la Messa.
Nella bellissima Plaza Major ho ritrovato Antonio e Roberta.
Quel giorno c’era puzza di fumo, perchè era andato a fuoco un palazzo pubblico; noi giravamo noncuranti, alla ricerca di un ristorante carino (che abbiamo trovato ed avuto tutto per noi, perchè era ancora presto quando già morivamo di fame).
Dopo Leòn
Uscendo da Leòn con le mesetas quasi alle spalle, abbiamo scelto il Cammino più lungo (37km invece di 32), e incontrato l’abuelo Marcellino, da cui finalmente Miguel ha comprato il bastone che cercava fin da Roncesvalles.
L’11/08 siamo arrivati a Hospital de Orbigo, e abbiamo scelto l’albergue e il ristorante sbagliato. Mi ricordo però l’arrivo (ero così stanca), il ponte romano, il pediluvio in albergue e l’aperitivo con le patatine fritte, guardando le foto.
Da Hospital siamo passati per Astorga, che mi è piaciuta molto. Era domenica mattina, e tutti erano vestiti a festa. Ultimo giorno delle Olimpiadi di Londra, ho potuto vedere solo un pezzo di maratona, mentre mangiavamo pimento del padron in un locale vicino alla piazza.
Ad Astorga: ero felice. Felice seduta in piazza, con l’Aquarius e delle ciambelline fritte, felice con i piedi nella fontana. Felice perchè l’itinerario era ormai tracciato, e il paesaggio stava cambiando, portandoci verso la Cruz de Hierro, verso Santiago.
Qualche km dopo Astorga, in un accrocchio di case delizioso, a Murias del Rechvaldo, due sorelle gestivano un bar che mi ha incantato. Quanto amore! mi ha detto una di loro.
Il 12/08, ormai tardissimo, siamo arrivati a Rabanal del Camino, un villaggio incantevole, dove a cena abbiamo conosciuto Angelo, che sarebbe diventato Anam, il nostro compagno di viaggio.
L’ho visto che si sedeva ad un tavolo da solo e ho detto a Miguel: invitalo, ha una faccia simpatica. E subito l’abbiamo adottato e lui noi: disquisendo con il Professore ho passato ore stupende. Colmava una sete a lungo dimenticata.
La mattina in cui sono arrivata alla Cruz de Hierro rimane un ricordo che non voglio condividere.
Ci sono andata con Niagara e lì abbiamo portato 3 pietre, 3 pesi. Tutti se n’erano andati. Mentre salivo, sapevo.
Lì sotto, Miguel mi guardava e aspettava. Ha capito e ho pensato: ‘Non è possibile’.
Quello che succede alla Cruz de Hierro è assoluto. E’ un punto del Cammino in cui – dopo giorni e giorni e tanti km percorsi – siamo pronti a deporre un fardello.
Lì si compie un rituale antico. Si muore e si rinasce. Totale.
La discesa è ripida. Abbiamo ritrovato in una sosta ad El Acebo Antonio, Roberta e anche Anam; ci siamo convinti a fermarci a Molinaseca, per via del fiume. La cittadina è bellissima: raccolta intorno al fiume, in cui si può fare il bagno.
Dormivamo tutti e tre in un B&B, stanchi degli albergue; così il 13/08 io e Miguel siamo andati a fare la spesa a cena e il Professore ci ha preparato una pasta alla puttanesca fantastica. Miguel aveva scaricato il Casta Diva, e abbiamo cenato sul terrazzo con la Callas.
Una serata bellissima; la camera aveva un balconcino che dava sulla via principale.
Il 14/08 è stata una giornata difficile: pioveva, intanto. Siamo arrivati a Villafranca del Bierzo, dove tutti gli albergue erano pieni; trovata una stanza spartana mi sono gettata su un letto e ho dormito vestita, con un dolore fortissimo ai piedi.
La sera tardi siamo usciti, spinti come lupi dalla fame. Pioveva ancora, e l’aria era fresca.
Tornando all’hostal, percorrendo le strade deserte, io cantavo “Ogni tanto” e “Tu che sei parte di me” – e di nuovo ero felice, sotto lo sguardo curioso di chi non capiva eppure sapeva.
Il 15/08 a O Cebreiro abbiamo ritrovato Anam, che è arrivato proprio in tempo per la Messa.
Indimenticabile il viaggio fino a O Cebreiro. Abbiamo camminato con Emanuele di Aosta; insieme a lui scoprivamo i boschi al confine con la Galizia, la frescura, l’ombra, il vento.
Ricordo un bar prima dei boschi dove sedevo al sole (non più nemico!), aspettando la spremuta e pensavo: sono felice.
A O Cebreiro ho incontrato un frate francescano, Mauro di Bologna, che vive ad Assisi e ha risposto ad un sacco di domande.
Quella notte: le stelle! La volta celeste era un incanto.
‘Ti riuscissi a dire, riuscissi a spiegare.’
Camminavamo insieme ad Anam, in Galizia finalmente. Verso Samos, attraverso un paesaggio stupendo, boschi, ombra, muretti di divisione – l’altra Spagna somiglia all’Irlanda, la lingua cambia, e così le persone.
Samos visto dall’alto è un incanto, una scoperta. Siamo arrivati in tempo per la messa con i canti gregoriani e per la benedizione di un prete che aveva la voce di un tenore.
Un ragazzo inglese, che faceva il Cammino con il figlio Matteo, ci ha indicato un ristorante carino, e l’albergue era pulito e ben tenuto. Ero l’unica ragazza della camerata e avevo il bagno tutto per me.
Il 17/08 siamo passati da Sarria, e la sera siamo arrivati a Portomarin, tra le lamentele di Anam. Abbiamo girato disperati la città prima di incontrare un brasiliano, Josè, che ci ha indicato una pensione in cui c’era ancora posto. La cena è stata ottima, in un ristorante affacciato sul fiume.
Il 18/08 sarà ricordato con il giorno ‘in the fields’, perchè sapevamo che a Melide difficilmente avremmo trovato dove dormire. Siamo arrivati dopo 40km che già era buio, e per di più era giorno di festa in paese.
In albergue, dove al prezzo di 5 euro mi hanno lasciato fare la doccia, ho ritrovato Angela, che avevo conosciuto il primo giorno e poi rivisto all’entrata in Pamplona: che emozione!
Abbiamo cenato da Ezequiel, che è IL posto dove si mangia il polpo gallego… e mi sono divertita nonostante la stanchezza, nonostante sapessi che la notte sarebbe stata dura.
Per strada avevo visto un palco dismesso, così ho trascinato il (nuovo) Profeta e Anam fino a lì, ho tirato fuori il sacco a pelo e mi sono sistemata per dormire. Miguel mi ha guardato e rideva, mi ha detto ‘You are crazy’ e io sapevo che Wania sarebbe stata orgogliosa di me. Anam inorridiva.
Sono venuti a chiamarci dall’albergue dicendoci che potevamo dormire sul pianerottolo, così siamo tornati indietro ed è stata una notte breve e scomoda.
Il 19/08 siamo arrivati a O Pedrouzo, dove stavolta avevamo prenotato in un albergue. Anam ci ha raggiunto che erano già le 21, è entrato in un negozio a comprare un paio di t-shirt, e ha buttato le vecchie.
Era la notte prima di arrivare a Santiago, una notte magica.
Quella notte ho assistito ad un’evocazione e mentre scrivo mi chiedo se sia successo davvero.
Il pomeriggio mi guardavo allo specchio e mi sembrava di essere luminosa.
La mattina del 20/08 siamo partiti prima dell’alba, perchè non volevamo perdere la Messa del Pellegrino alle 12. Con la pila tra sentieri bui, e poi su un tracciato sempre più nitido, in mezzo a una folla di pellegrini, ognuno con la sua storia.
Fermandoci ai bar per la strada, siamo arrivati al Gozo, la montagna da cui finalmente si vede Santiago.
Da lì, una forza incredibile, come un vento, ti sospinge verso Santiago, verso la Cattedrale: i piedi diventano leggeri, l’anima mette le ali.
Io piangevo e cantavo, Miguel camminava accanto a me senza dire nulla, Anam poco dietro di noi.
Insieme a me c’erano tutti: tutti coloro che ho amato, e abbiamo percorso insieme gli ultimi km, insieme a Amal / e tutto aveva un senso, stavo andando a chiudere il cerchio.
L’emozione di Santiago non è descrivibile. La vista della grande piazza, della facciata della cattedrale, il sapere di essere arrivata, di aver risposto ad una chiamata, di aver rivisto tutta la mia vita, e di essere lì con chi ho amato e chi amo.
La Messa, quando al segno della pace noi tre ci siamo abbracciati. Pranzare insieme ancora una volta, srotolando le credenziali, ripercorrendo insieme le tappe. Contando i giorni, snocciolando nomi.
La A Casa do Peregrino, scovato da Miguel e incantevole.
La Compostela (!), filalmente, gli ultimi saluti ad Antonio, Roberta, Angela, Josè.
E poi, ancora.