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Te ne sei andata una settimana fa, prima che iniziasse la primavera.
Te ne sei andata lasciando un vuoto che grida, tu piccola silenziosa.
Sei sempre stata bellissima: da piccina, arrivata una sera a casa mia, in sella ad un KTM, addormentata perchè era buio, e tu già sapevi che quando è buio si dorme.
Stavi tutta nel palmo di una mano, e avevi un rametto scarno come compagno.
Eri già tu: vispa, famelica, simpatica.
Crescendo, sei diventata sempre più bella: non finivo mai di meravigliarmi della perfezione delle tue scaglie, della morbidezza del tuo pancino.
Stavi sempre con me, seguendomi con lo sguardo.
L’estate scorsa è stata la più bella: stavi sul balcone e a tutti dicevo che avevi il terrario più grande del mondo. Gironzolavi e poi tornavi in ufficio da me. Giocavi con Iran alla caccia del grillo, battendolo sempre. Nuotavi nella tua piscina speciale, muovendoti come un pesciolino, e io restavo incantata a guardarti.
Per 2 volte, ti sei pure buttata inseguendo chissà quale sogno di volo, con il tuo muso da aquila.
Quando scendeva la sera, ti rifugiavi nell’angolo dove il sole indugiava, ti arrampicavi persino sul muro alla ricerca degli ultimi raggi. Poi ti spegnevi, rintanandoti in un angolo, con le zampine raccolte vicino alla coda, raggomitolata come un girino.
Io ti guardavo ed era impossibile non amarti, tu così bella e simpatica.
Ti avevo portato in Redbug prima di partire per il Cammino, e mi avevi guardato con uno sguardo incredibile, come se temessi di essere abbandonata. Come se non volessi essere lasciata là.
Ricordo quella sera, pochi km prima di Melide; ci eravamo fermati a bere qualcosa, indecisi se proseguire fino alla città, dove già sapevamo che era notte di festa e che non avremmo trovato posto. Mancava poco all’arrivo a Santiago. Quella sera Marco mi ha chiamato e mi ha detto che era venuto a prenderti: ti aveva portato a casa, perchè l’avevi riconosciuto e non voleva lasciarti lì.
Ecco, Paris: ero così felice di saperti a casa. Tu sei stata: amore.
Quest’inverno non sei riuscita a brumare. Odiavi l’inverno, deve esserti sembrato eterno. Ti tenevo sulla scrivania o in braccio, perchè nell’angolo non volevi stare anche se c’era la tua luce a tenerti calda.
Paris, come spiegarti la lunghezza dell’inverno?
Non mi do pace per quest’inverno durato troppo. Il giorno prima che te ne andassi, è apparso uno spiraglio di sole, e ti ho messa sul calorifero. Ti ho visto alzarti sulla parete, come un fiore, per cercare quel raggio pallido, filtrato dal vetro.
Paris, come spiegarti quello che anche io non so? Ti hanno fatto male quelle medicine, o te ne saresti andata lo stesso, tu principessa, adorata e vezzeggiata da tutti?
Te ne sei andata tra le mie braccia, e ora sei addormentata nel giardino di papà, in una scatola bellissima, in un angolo dove arriva il sole. Con le zampine vicine alla coda.
Mi manchi tanto.