Ieri abbiamo corso la maratona di NY: il sogno di tutti i maratoneti.
La maratona è un evento che coinvolge tutta la città; si annunciava freddo e vento gelido, e in parte così è stato, anche se è spuntato presto il sole, in un bel cielo azzurro solcato da nuvole.
Come raccontarla? Eravamo nell’ultima wave a partire, colore arancione: siamo usciti dall’hotel alle 7, e siamo andati in metro fino al capolinea della linea 1 direzione downtown, dove si prende il Ferry. E’ stato bellissimo, perchè sul treno eravamo tutti maratoneti, tutti contenti e coperti di vestiti vecchi, che avremmo abbandonato alla partenza.
Il ferry mi è piaciuto tantissimo, è enorme. Ci ha portato a Staten Island, dove dopo un poco di attesa abbiamo preso un pullman diretto verso la partenza.
Staten Island sembra un’altra america rispetto a Manhattan.
La nostra wave passava sul ponte di Verrazzano, che è lunghissimo. Tirava un vento forte, ma le gambe andavano, e la sensazione era bellissima. In alto, i gabbiani ridevano di questa strana migrazione di umani.
La prima parte della gara, Brooklin e Queens, è andata bene; abbiamo corso i primi 5km, poi attivato il bip-bip, e tenuto la media per finire in 4.45 fino al 25mo km, dove sul ponte del Queens siamo invece crollati (fermandoci a fare foto come i turisti!).
Intorno: la città infreddolita ma contenta, alcune bande e gruppi musicali, in alcuni posti davvero bravissimi. C’era un viale alberato a Brooklin con case bellissime. In generale, le strade erano ampie, i ponti un po’ infidi per via della salita, tutto intorno a noi la sensazione di un’avventura possibile: una maratona popolare, non elitaria. Ma tant’è: così è l’America.
Dopo il 25mo si è fatta sempre più dura: i rifornimenti di acqua e gatorade erano ad ogni miglio – eccellenti – mentre quelli di cibo non si capiva dove fossero. Ricordo una bambina che ci ha dato un po’ di melone e un pezzo di banana, quando ci sembrava che l’unica possibilità fosse il gel.
Dopo i 30 ancora più duro, da Harlem il ponte per andare nel Bronx – con una lievissima salita – sembrava un ostacolo insuperabile. Il ritorno a Manthattan interminabile, ma anche bello, con la folla che si assiepava dietro le transenne.
Siamo arrivati in 5.19, peggior risultato di sempre (ma avevamo ripreso a correre solo a metà settembre, e io non correvo dalla mezza di Londra, il 12 ottobre). Non è facile conciliare lavoro-famiglia e corsa, ma correre rimane un qualcosa che mi piace moltissimo, nonostante gli acciacchi ormai noti di fine gara.
Uscire da Central Park al freddo, con solo la stagnola: un incubo. Raggiungere la metropolitana attraverso 3 blocchi, idem.
Il mio outfit di Under Armour mi è valso un sacco di complimenti, e ho realizzato la promessa di vestirmi in modo bizzarro durante una gara.
Mi piacerebbe ricominciare ad allenarmi con costanza, e con il gruppo, anche se siamo tutti un po’ dispersi. Chissà. Marco ieri diceva che ci sarà un altro gruppo, e una nuova avventura all’orizzonte.